8 marzo: Giornata internazionale della donna. Sembra ormai diventato un rito come la celebrazione delle feste comandate durante le quali si fanno i buoni propositi fino al successivo anniversario. Eppure la situazione per le donne non è delle migliori, come testimoniano le cronache dei nostri giorni. Storicamente la donna è stata considerata elemento subalterno della società e nonostante i progressi ottenuti negli ultimi due secoli nel mondo occidentale, ancora la condizione femminile nei momenti di maggiore difficoltà, come quello attuale, retrocede pericolosamente sul piano economico e sociale.

La battaglia per il riconoscimento dei diritti civili, politici, sociali è stata lunga, certamente in Italia più di altri paesi, basti pensare che nel 1919 in Gran Bretagna le donne ottennero il diritto di voto, mentre da noi nello stesso anno con la legge Sacchi fu abolita la potestà maritale e alle donne fu concesso di esercitare la professione di avvocato. Solo dal 1946 le donne italiane hanno espresso il loro voto alle elezioni. Eppure anche le donne italiane avevano dato il loro contributo allo sforzo bellico nella I guerra mondiale, come poi avrebbero fatto durante la II guerra mondiale, e già nel Risorgimento si erano impegnate in attività importanti per la causa. Si possono ricordare le donne che durante la Repubblica romana, guidate da Cristina di Belgioioso e da Laura Solera Mantegazza durante le cinque giornate di Milano, dettero la loro opera per la cura dei feriti.

La questione femminile si rivelò subito dopo l’unità drammatica per l’alta percentuale di analfabete e le condizioni sociali. Fin dai primi anni si rivelò fondamentale per lo sviluppo e il progresso del Paese da poco unificato affrontare il tema dell’educazione e dell’istruzione. Rimane fondamentale l’articolo della principessa di Belgioioso Della presente condizione delle donne e del loro avvenire pubblicato sul primo numero della «Nuova Antologia» del gennaio del 1866. Un altro testo importante fu La servitù delle donne pubblicato nel 1869 da John Stuart Mill in Inghilterra e tradotto l’anno successivo in italiano da Anna Maria Mozzoni, di formazione mazziniana e una delle pioniere della lotta per l’emancipazione in Italia.

La presenza sempre più alta delle maestre nell’istruzione elementare come pure quella femminile nel mondo industriale non segnarono grandi cambiamenti nella mentalità, anche se la questione femminile si pose all’attenzione dei movimenti per il riscatto dei lavoratori. Le resistenze culturali erano grandissime, lo specifico femminile come si era rafforzato nel corso dei tempi determinava dubbi, crisi di identità in un mondo ancora basato socialmente e giuridicamente sulla predominanza maschile.

Eppure, dopo tanto tempo e tanta strada, sembra di essere fermi ad anni lontani quando alle ragazze che studiavano si richiedeva come materia di voto la capacità di saper svolgere i lavori femminili, segno di una diversità e subalternità che impediva “per natura” di accedere a carriere di appannaggio maschile. L’esplodere della violenza fra le mura domestiche è la testimonianza che al percorso di emancipazione femminile non si è unito un uguale percorso di educazione dell’uomo. Un nuovo obiettivo si pone all’attenzione di donne e uomini: la presa di coscienza che la vera uguaglianza si realizza non solo in ambito pubblico ma comincia in ambito privato con il rispetto delle donne, degli uomini e dei figli.

Alessandra Campagnano

8 marzo

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